Se la rivolta post-elettorale in Iran dell'estate scorsa è stata la prima "Twitter rivoluzione" al mondo, il devastante terremoto del 12 gennaio ad Haiti è stato il primo "Twitter disastro". Sintomatico di come è cambiato il panorama mediatico dopo lo tsunami nell'Oceano Indiano nel 2004 o dopo l'uragano Katrina nel 2005 è il fatto che gli utenti di Twitter in tutto il mondo si siano immediatamente messi in contatto con il popolare sito di microblog per leggere le ultime notizie, esprimere la loro solidarietà, capire che cosa fare per dare una mano.
Nel tentativo di cavalcare l'onda, anche media affermati come New York Times e Cnn hanno utilizzato le nuove possibilità offerte da Twitter per istituire aggregatori di feed che presentavano gli ultimissimi aggiornamenti da Haiti. La febbre di Twitter non si è raffreddata nemmeno nei giorni successivi al tragico terremoto. Mercoledì 20 gennaio, a distanza di oltre una settimana dalla scossa originaria, un flusso di attività e di tweet, a ruota con le notizie di nuove scosse a Port-au-Prince, di fatto ha paralizzato il sito.
È evidente che Twitter è diventato un portale per coloro che cercavano di mettersi in contatto per saperne di più dei tragici eventi. Twitter ha davvero sostituito altri media dei bei tempi come mezzo per essere informati tempestivamente degli avvenimenti in corso?
Non stupisce che invece di offrire notizie, la stragrande maggioranza dei tweet su Haiti è parsa essere costituita da manifestazioni di solidarietà personale per le vittime del terremoto, oppure da link verso articoli d'informazione provenienti da altre fonti. I giornalisti stranieri, tra i quali Anderson Cooper e Sanjay Gupta della Cnn, hanno twittato le loro impressioni, che però hanno costituito solo un'integrazione alla copertura giornalistica da loro assicurata. Alcune associazioni come Medici senza frontiere e Care hanno anch'esse fornito aggiornamenti con Twitter sui loro sforzi, ma i loro testi sono risultati di ben scarso interesse per coloro che non erano coinvolti nei soccorsi alla popolazione e che probabilmente avevano fonti d'informazione in ogni caso più affidabili.
E poi c'è l'aspetto negativo: con Twitter hanno iniziato a diffondersi rapidamente le voci d'iniziative di soccorso false e inattendibili. Twitter può alla bisogna essere un mezzo efficace d'organizzazione: i tweet hanno avuto un ruolo di primo piano nella campagna mirante a esercitare pressioni sull'Aeronautica Usa affinché apra l'aeroporto di Port-au-Prince ai voli delle associazioni umanitarie. Ma nello stesso modo possono anche sviare, specialmente quando entrano in ballo personaggi celebri. Il musicista di origine haitiana Wyclef Jean è diventato uno degli utenti haitiani di Twitter più celebri quando si è recato nel suo paese d'origine per dare una mano nelle iniziative umanitarie e di soccorso e ha sollecitato a fare donazioni e offerte alla sua Yele Foundation (Yele è diventato infatti uno dei topic più cliccati all'indomani del terremoto). Altrettanto immediatamente, però, si sono moltiplicate le preoccupazioni sulle irregolarità finanziarie della fondazione e sulla sua effettiva capacità di gestire un problema di quella portata.
Di fatto, per quanto si affermi spesso che le nuove tecnologie come Twitter riescono a dare un potere ai singoli individui per comunicare direttamente con un pubblico molto più vasto, coloro che sono parsi trarne i maggiori vantaggi durante la crisi sono stati i mezzi d'informazione più tradizionali, che dispongono del personale effettivo necessario a individuare le informazioni attendibili provenienti da Twitter per una selezione più accorta; o anche le fondazioni e le associazioni di beneficenza che puntano a mettere insieme capitali, che lo meritino o meno; e infine le agenzie governative che hanno così potuto reclamizzare i propri sforzi.
Se non altro, i pochi tweet che assomigliano a vere notizie - generati da utenti di Twitter veramente impegnati, come il musicista Richard Morse o Damien Cave del New York Times - hanno messo in piena luce i limiti di Twitter come nuovo mezzo di informazione. Un tweet come quello di Cave - «Elicotteri della marina sorvolano ambasciata. Altri soldati in arrivo. Iraq, Afghanistan e Haiti: diverse ma tutte operazioni di nation building?» - è più un'allusione al suo articolo che un'affermazione o un'informazione. Serve davvero che negli Usa e in Europa i lettori sappiano dai tweet che un certo negozio nel centro di Port-au-Prince è stato saccheggiato o che un particolare edificio di Jacmel è crollato? O non è forse meglio attendere un consuntivo più completo ed esauriente tramite il Times o la Cnn?
Negli ultimi vent'anni, il ciclo dell'informazione è passato da aggiornamenti quotidiani dei giornali alla copertura minuto per minuto delle notizie via cavo e della blogosfera agli aggiornamenti secondo per secondo con Twitter. Forse abbiamo raggiunto il momento in cui l'informazione arriva più velocemente di quanto gli utenti riescano a processarla. E la "notizia" smette del tutto d'informare.
© 2010 Foreign Policy
(Traduzione di Anna Bissanti)